la Make-up artist Lorella De Rossi porta avanti una tradizione di famiglia che annovera il lavoro del nonno Alberto, vero pioniere del trucco in Italia che ha curato l’aspetto di attrici internazionali e del padre Giannetto, legato indissolubilmente alle produzioni horror di Lucio Fulci, ma anche di registi internazionali tra i quali David Lynch e James Cameron.
Fin dalla più giovane età Lorella ha appreso le tecniche e i segreti del mestiere, ricevendo il primo importante riconoscimento nel 2000, anno nel quale vince un Emmy come componente del reparto di trucco della miniserie Arabian Nights. Nel 2007 c’è la collaborazione per il film Apocalypto, che riceve la nomination agli Oscar per il miglior trucco. Nel 2009 la De Rossi vince il David di Donatello con il gruppo che ha realizzato il make-up per Il Divo. Nel 2011 arriva poi la nomination per il film Gorbaciof. Tra gli ultimi lavori figura il trucco per il film Welcome Home (2018) con Aaron Paul ed Emily Ratajkowski. Nei ritagli di tempo Lorella insegna ai giovani i segreti di questo mestiere.
La tua professione è per molti versi sconosciuta. Quante branche prevede il lavoro del make-up artist?
Il termine “make-up artist” è ormai poco indicativo. Con l’aumentare delle scuole di trucco escono centinaia di ragazzi e ragazze che si sentono già truccatori, ma non è così semplice. Il mio mestiere si divide in quattro categorie: truccatore cinematografico, truccatore di moda, truccatore televisivo e truccatore teatrale. Io sono una truccatrice cinematografica e non potrei, né vorrei lanciarmi nelle altre branche elencate.
Quanto dura il percorso di studio e di formazione che porta a diventare un truccatore cinematografico?
In realtà non finisce mai. Nel mio caso non ho fatto nessuna scuola, sono la quarta generazione di truccatori in famiglia: iniziò il mio bisnonno dopo la guerra, poi mio nonno Alberto, che diventò uno dei truccatori cinematografici più famosi a livello internazionale. Era il truccatore personale di Anna Magnani, Audrey Hepburn, ha fatto Cleopatra con Liz Taylor. Mio padre Giannetto, uno dei migliori truccatori al mondo, ha lavorato a film come Novecento, C’era una volta il West, Il Gattopardo, Zombie e L’Aldilà. Ha all’attivo circa 160 film. Io iniziai proprio con mio padre quando avevo 17 anni, attraverso una massacrante gavetta. Ancora oggi, pur essendo capo reparto ed avendo collaboratori che lavorano per me, continuo ad imparare, ad avere paura per ogni nuovo lavoro e a mettere in discussione le mie capacità, perché non si finisce mai di apprendere cose nuove ed ogni film, anche quello più semplice, nasconde sempre qualche insidia. In ogni caso, alla base del percorso che si sceglie di intraprendere, è importante saper parlare inglese, non è concepibile non comprendere le richieste di un attore straniero, l’inglese è fondamentale.
Riscontri quindi che il pubblico possa avere una percezione non corretta nei confronti del tuo lavoro?
Se parliamo degli spettatori che vanno al cinema, ognuno giudica a modo suo. Sinceramente non mi sono mai posta il problema. Quello che mi preme, in ogni film, è essere soddisfatta di come sto lavorando. Se non lo sono io, tutto va storto. Do il massimo, non mi sono mai preoccupata troppo del giudizio degli altri. Non per presunzione, solo perché se dovessi pensare ai gusti altrui, cambierei la mia visione del lavoro che ho in mente.
Qual è stato il make up più complesso che ti è mai capitato di eseguire?
Direi tutti, sempre! Ci sono fattori che rendono sempre difficile un lavoro; un attore particolarmente ostico con il quale è necessario riuscire a seguire la giusta direzione, in molti casi i fenomeni atmosferici possono peggiorare la tenuta di un trucco appena fatto. Diciamo che non mi sono mai trovata in difficoltà ad eseguire le cose, sono molto attenta in questo. Tuttavia eseguendo lavori come per esempio invecchiamenti, una volta usciti dal trucco tutto bene, poi magari sul set arriva il caldo a rovinare tutto. Certe situazioni mi fanno dannare. Ad ogni modo, se devo pensare al trucco più difficile ed impegnativo che ho affrontato, direi la pancia di nove mesi sul set del film Apocalypto diretto da Mel Gibson, nel quale lavoravo in qualità di makeup supervisor. Un film lungo, difficile, stancante come mai nella vita, psicologicamente e fisicamente. Molto stressante, per 4 mesi lavoravo 18-20 ore al giorno 5 giorni su 7, gli ultimi tre giorni di riprese lavorai per 42 ore di fila.
Quali sono le fasi che portano alla produzione e, successivamente, all’applicazione di protesi?
La protesi è un pezzo che si applica per modificare, oppure aggiungere qualcosa ad un viso o un corpo. Si chiamano prostetici o prosthetics all’americana. L’uso di prostetici per l’invecchiamento consiste nell’esecuzione di precisi passaggi. Ammettiamo di lavorare su una persona di 40 anni, dobbiamo invecchiarla di altri 30. Come fare? Innanzitutto, prendo un calco in gesso del viso affinché con della plastilina io possa iniziare a modellare i tratti del viso per ricreare volumi e rughe naturali che possano restituire l’effetto desiderato. Poi faccio nuovamente il calco al viso modificato ed inizio a preparare i prostetici, ovvero pezzi finti che andrò poi ad applicare sul viso. Tutto ciò non può avvenire se accanto a me non c’è un bravo parrucchiere che mette una parrucca, oppure cambia la pettinatura aumentando i capelli bianchi. Ci sono poi protesi che servono per ricreare effetti speciali, come ad esempio tagli, spari e mutilazioni.
Quanto tempo può richiedere un’operazione simile?
Un invecchiamento di 30 anni può richiedere circa 3 ore di lavoro, mentre applicare un naso circa 40 minuti. Ogni volta ci può essere un imprevisto, ma gli orari che decidiamo il giorno prima per quello dopo devono essere sempre rispettati.
Hai cominciato molto presto la tua carriera di make-up artist, c’è mai stata un’età nella quale hai pensato che avresti voluto prendere un’altra strada?
Certo! Seppur in modo affettuoso, sono sempre stata la pecora nera di casa, quella che metteva scompiglio alla pace e alla serenità familiare. Una volta diplomata in lingue avrei voluto fare la biologa marina. Però già a 17 anni iniziai ad innamorami del lavoro di papà, piuttosto che quello di parrucchiera al cinema come mamma: questo anche perché lui non truccava solo “beauty”. Detto tra noi, dopo un po’ che trucchi una donna ti assale una noia tremenda. Lui mi preparava gli zombie a casa! Per un anno mi sono iscritta all’università, già sapendo che era una scelta sbagliata: sono negata per la matematica e tutto ciò che sono le materie scientifiche! Dopo un anno sabbatico ho confessato a mio padre che non avevo combinato niente e volevo lavorare con lui. Da quel momento non ho più mollato un minuto.
Gli zombie del papà ti spaventavano?
Non vedo film horror, né splatter. Adoro i gialli e i polizieschi, guardo molti canali come Fox Crime! Ho guardato giusto The Walking Dead, perché mi diverto a vedere come scempiano il trucco.
Quanto tuo padre ha influenzato il tuo stile e la tua tecnica?
Ho cercato di prendere tutto quello che potevo, imparando ogni tecnica possibile: è ovvio che maturando professionalmente si modificano alcune cose, soprattutto perché la tecnologia ci porta prodotti sempre migliori, quindi certe metodologie cambiano inevitabilmente.
Che rapporto hai con l’immagine del nonno Alberto?
Avrei tanto voluto conoscerlo. Lui se ne andò quando avevo solo due anni, è stato bello conoscerlo attraverso i racconti dei vecchi cinematografari che ho incontrato successivamente, nei miei primi anni sul set. Sono molto fiera di nonno e papà, rispetto ai quali sono però diversa. Loro hanno dedicato ogni secondo della loro vita perseguendo fama e gloria, riuscendo ad ottenerla, lasciando in un angolo la famiglia. Io metto la mia famiglia davanti a tutto. Poi viene il mio lavoro che amo alla follia.
Riscontri interesse da parte delle nuove generazioni, riguardo il tipo di arte che porti avanti?
Oggi chiunque pensa a fare soldi e conoscere gli attori, non ho ancora incontrato un vero appassionato come lo sono stata io. Di questi tempi c’è poca voglia di sacrificarsi e molta invece di postare foto con l’attore di turno.
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